Ricordo senza precisione il momento in cui mi hai detto: la mia vita per ora sembra un quadro di Pollock, e io volevo chiederti se eri felice o soltanto confusa.

Mi chiami tutte le notti a orari imprevisti per raccontarmi aneddoti che nessuno conosce. Passiamo ore a contare le vene sulle mani del Mosè e a ribaltare a parole le tinte chiare di Lautrec. Hai la gola piena di cigni – quando mi parli – io ti penso sempre con i polsi appoggiati alle guance e gli occhi che piangono per me.

E quando mi dici “ascolta questa” io smetto di parlare per sentirti respirare in un intervallo di tempo che sembra duri un secondo invece dura un secolo. E resto due minuti e sedici ad ascoltare la musica che mi chiude gli occhi e i pentagrammi spaiati delle tue ginocchia.

A meno che una mattina non ci ritroviamo nello stesso letto non avrò mai il coraggio di dirti che stanotte ti ho sognato, eri bianca come un disegno invernale. T’immagino ballare mentre mi sfuggono dagli occhi tutti i lineamenti. Le foto che mi hai mandato perché imparassi il tuo odore. Le onde della tua fisionomia sono curve mescolate nella testa.

Sei la mia signorina d’Avignone e quando te lo dico mi prendi in giro e ridi a dirotto nel microfono del telefonino, mi dici che tanto odi tutti i preti e sarà sempre tardi quando verrò sotto casa a prenderti.

Potevamo cercare un punto qualunque a metà strada tra il mio collo e il tuo. Ma io e te abbiamo di mezzo il mare, e i voli soffocati dell’aria, e non si può perché non sai nuotare e io sott’acqua non ti so spogliare. Potevamo vederci su da me, o scopare sui mobili del tuo appartamento in affitto. Potevamo rubarci lo spazio un po’ alla volta, per arrivare a possederci nelle scapole. Invece per il nostro primo incontro hai scelto Vienna.

Un pensiero su “Un segreto che tengo per mano #2

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